di Giuseppe Parodi E’ nel campo delle iperpigmentazioni che la dermatologia rivela la sua grande varietà e complessità.Infatti le macchie della pelle hanno una origine tremendamente complessa e vanno dalla più semplice discromia di carattere estetico alla più grave malattia internistica. Molto spesso “le macchie” possono essere il segno postumo di una malattia dermatologica che, guarendo, lascia un esito iperpigmentato, altre volte un effetto legato all’assunzione di farmaci, altre volte ancora segni di importanti malattie metaboliche con accumulo di sostanze abnormi nell’organismo, o segni di carenze nutrizionali. Esistono infine banali affezioni quali pitiriasi versicolor che provocano la frequente comparsa di iperpigmentazioni al tronco, soprattutto nei periodi caldi.
La terapia delle iperpigmentazioni, pertanto deve sempre seguire una corretta diagnosi in quanto solo la individuazione della causa specifica può evitare delle cure sbagliate o inefficaci.
Nel campo della dermatologia plastica, le iperpigmentazioni di frequente riscontro sono costituite dai cloasmi, dalle efelidi, dalle lentigo, dagli stessi nei che spesso preoccupano i pazienti per paura di tumori ma altrettanto spesso sono causa per gli stessi pazienti di inestetismi. E’ molto importante la individuazione della profondità del pigmento in quanto costituisce la base per impostare la tecnica da seguire, la quale può essere chimica o fisica. Maggiore è la profondità del pigmento, infatti, tanto più difficile sarà la sua rimozione. Questo vale soprattutto per il melasma, una iperpigmentazione che colpisce frequentemente le giovani donne, trattabile con facilità solo quando interessa l’epidermide e non il derma. Il trattamento farmacologico delle iperpigmentazioni si avvale di numerose sostanze, tra le quali spiccano l’acido cogico, l’arbutina, la tiolisina, ma putroppo la sostanza principe, l’idrochinone, non si trova più in commercio in Italia.
Le alternative alla depigmentazione chimica sono costituite dalla crioterapia e dal peeling chimico. Con la prima si crea un danno epidermico tramite azoto liquido o protossido d’azoto, con il secondo mediante sostanze esfolianti, prevalentemente l’acido tricloroacetico. Si tratta di metodiche valide, largamente accettate dal paziente per la loro semplicità e il relativo basso costo. Una netta evoluzione per la sua specificità di bersaglio è costituito dal laser q-switched, con cui vengono emessi impulsi inferiori a un millisecondo colpendo selettivamente il melanosoma, l’organulo cellulare contenente la melanina. Con questo tipo di laser, utilizzando una lunghezza d’onda di 532 o 1064, si possono trattare gran parte delle lesioni pigmentate: le lentigo, le efelidi, le chiazze caffelatte, il nevo di Becker e anche i nevi acquisiti, a condizione di essere certi della benignità della lesione. Inoltre possono essere trattate le iperpigmentazioni post-infiammatorie e da farmaci.

dr Giuseppe Parodi
Dermatologo in Genova

Una lentigo del viso dopo una seduta di laser q-switch.